E' molto utile ricordare che appena nato Romanino, nella Brescia del 1488, il patriziato attua la serrata oligarchica che
imporrà di nuovo nel secolo successivo, a partire dal 1517 decretando l'esclusione dal Consiglio generale cittadino di tutti coloro che si occupassero delle arti vili meccaniche o commerciali, che richiedessero cioè di maneggiare direttamente le merci. Questa esclusione non comportò solo contraccolpi molto pesanti nella vita politica della città, con gli esclusi dal governo cittadino pronti a costituirsi clandestinamente in partito filomilanese e filofrancese tramando, con conseguenze che si sarebbero rivelate tragiche, per rovesciare le alleanze, ma segnò anche il grande travaglio sociale e culturale dell'artista, che si trovava in una fase di passaggio da operatore ad autore.
Romanino sarà partecipe dello sforzo dei pittori di costruire un
nuovo luogo della pittura all'interno della vita civile, facendola assurgere tra le arti liberali. Anche s'egli continuò a operare con la tradizionale bottega da artigiano meccanico, partecipe di quel movimento avviato da Leonardo e che diventò centrale nel dibattito delle Corti del primo Cinquecento che voleva dimostrare la superiorità della pittura non solo sulla scultura, ma anche sulla poesia e sulla musica.
Romanino giunge a noi come testimone d'una condizione intermedia tra due mondi, aulico e popolaresco, tra ciò che è medievalmente arrovellato e ciò che è modernamente lacerato.
Già con una sorta di spavalderia ma anche di fragilità, di solitudine del genio moderno, ma in una fase ancora incerta, in cui l'artista si muove in una condizione subalterna, guidata dalla cultura ufficiale, umanistica o ecclesiastica, sicchè sarà sempre importante interrogarsi sui committenti delle sue pale e dei suoi affreschi.
La prima opera riconosciuta di mano del Romanino è stata
acquistata dal museo parigino del Louvre nel 1984: è una Madonna col Bambino datata 1507-8, in cui già si riflette il nodo cruciale di quell' epoca, segnata dal passaggio dal ritratto di pratica devota, simbolica o celebrativa, a una più delicata, penetrante delineazione. In questa dolce Vergine dell'Umiltà, tipica dell'iconografia nordica, già balugina una simpatia per Dürer, la cui produzione incisa, nei primissimi anni del Cinquecento, ebbe una rapidissima diffusione e clamorose contraffazioni diventando un vero e proprio prontuario iconografico per le botteghe italiane.
In questa prima opera accertata, si incontra un Romanino che fonde solidità strutturale, semplicità di affetti, sensazione palpabile di persone e natura, un autore cioè che si colloca tra la Lombardia allora dominata dalla lezione del Bramantino (il pittore milanese miglior erede della cultura prospettica e spaziale diffusa da Bramante) e la Venezia dove Giorgione si fa tramite tra il mondo delle secche, tornite geometrie del Quattrocento e quello cinquecentesco di materia sensuale e corruttibile, che avrà in Tiziano il più possente interprete.
A proposito della temperie lagunare, detta giorgionesca, del
pittore bresciano, c'è da rilevare che in quel primo decennio del Cinquecento per breve tempo molti grandi pittori si trovarono appunto a Venezia, a lavorare uno accanto all'altro: l'ormai attardato Carpaccio, con il suo gusto di cronista di storie, di testimone oculare il vecchissimo ma sempre pronto a rinnovarsi Giovanni Bellini, che dipinge per modulazione di aree colorate tenendo conto della filosofia della luce (secondo precise teorie divulgate dai circoli neoplatonici); Giorgione per il quale arte è concerto armonico tra uomo e natura; Tiziano, Sebastiano Del Piombo, Palma il Vecchio. A proposito di Vittore
Carpaccio, c'è da notare che il suo candore narrativo era apprezzato anche a Brescia ancora nel secondo decennio del Cinquecento se nel 1519 arrivò per la chiesa di S. Giovanni Evangelista una sua Madonna col Bambino fra i santi Faustino e
Giovita, opera poi distrutta in un naufragio; ed è da rilevare il fatto curioso che il Vasari, la fonte letteraria più importante per le vite dei pittori del
Cinquecento, citò Romanino proprio nella Vita di Carpaccio, quale abile disegnatore "come apertamente dimostraro l' opere sue fatte in Brescia ed intorno a molte miglia" (lo citò poi una seconda volta nelle Vite di Benevenuto Garofalo e Girolamo da Carpi, pur indicando la sua preferenza per il più classico Moretto).In quella Venezia d'inizio secolo dove confluivano tanti
eccelsi maestri, tra il febbraio e l' aprile del 1500 aveva fatto documentata comparsa Leonardo da Vinci, a rafforzare la coscienza, col suo sfumato, che la luce che forma il mondo contiene anche il principio del suo sfaldamento, ed a saggiare tramite i disegni la sua concezione della varietà infinita del reale. Così il paesaggio dell' anima e quello del mondo naturale esterno potevano avvicinarsi, in Leonardo, nel trascorrere energico delle cose e invece, in Giorgione e nel Tiziano giovane, nell' armonia.
Fausto Lorenzi
|