Pisogne era allora un porto di grande importanza sul lago d'Iseo, florido di scambi con il Settentrione. E quindi anche luogo di penetrazione dell' eresia luterana, da contrastare con una quanto mai sorvegliata politica delle immagini.
D'altra parte, i Disciplini di Pisogne erano anche i reggenti della vita civile della comunità. È opportuno ricordare che nel 1524 papa Clemente VII aveva ordinato un'indagine sulla diffusione del luteranesimo nel Bresciano, e che nel 1528 Brescia fu bollata da un troppo zelante osservatore come "la città più eretica d'Italia". È impensabile allora che in un luogo così a rischio come Pisogne ci si affidasse a un pittore davvero eversivo. Che del resto risultava ben in grado di tenere solida bottega e negli anni Trenta era in grado di stipulare vari contratti di garzonaggio.
In Santa Maria della Neve a Pisogne, Romanino non rinuncia affatto alla reinvenzione illusionistica, in senso classicistico, dello spazio gotico entro cui è chiamato a intervenire, ma affida all'amico istrionico o patetico il coinvolgimento del pubblico nella condizione esistenziale e insieme figurale delle scene dell'Antico e del Nuovo Testamento. La voce profetica della verità si incarna nella vita del popolo.
La volontà è di rendere confidenziale il rapporto con la vicenda e la passione del Cristo pane della vita, e con gli esempi di santità. E non è da dimenticare un tentativo di rinsaldare le comunità, dopo i grandi sconvolgimenti bellici e sotto le ventate eretiche, anche nel recupero delle più forti tradizioni locali, rivoltando anche gli stilemi neogotici o nordici in uno slancio di persuasione antiluterana. Non una foga istintiva e violenta, viscerale, ma un'urgenza drammatica d'intervento sollecita l'azione scenica della Redenzione, a Pisogne, dalla grande statuaria "michelangiolesca" all'intemperanza dialettale, secondo un preciso percorso meditativo che era illustrato da un conduttore ai fedeli.
Analogamente, a Sant'Antonio di Breno la difficile leggibilità complessiva del ciclo non impedisce nelle residue Storie bibliche di Daniele di cogliere uno stile d'illusionismo molto meditato, per recuperare la forza drammatica di una religiosità intimamente medievale nella spiritualità severa della devotio moderna. Il pittore rende quindi il pubblico presente come in un evento teatrale, e questa partecipazione corale del pubblico sarà ribadita anche nelle Scene della vita della Vergine di Bienno, con la stessa scioltezza ritmica e morbidezza di passaggi che Romanino ha sempre dimostrato nella pittura compendiaria, veloce e grandiosa delle ante d'organo, di cui è senz'altro il più grande interprete cinquecentesco, come per S. Maria Maggiore a Trento (circa 1535-40, distrutte), per il Duomo di Brescia (1539-40), per S. Giorgio in Braida a Verona (1540-1545), per S. Nazaro a Brescia (1541).
Dopo l' esperienza di Trento il pittore non abbandona più il problema di una pittura immersa nello spazio, a completamento dell'architettura, anche se verso la fine del decennio gli scatti di più violento espressionismo si placano in una fervida, quasi fiduciosa trasognatezza (come ad esempio nell'Annunciazione della chiesa dell' Annunciata al convento del Monte Orfano di Rovato), e preparano vari sposalizi mistici degli anni Quaranta, in contatto con ambienti mistico-caritativi. Bellissima, intorno al 1540, la Flagellazione di Cristo ora al Metropolitan di New York, uno stendardo per processione di accorata pietà.
Nel ripensamento della cronologia romaniniana, fatto da alcuni studiosi, in questi anni si giustificherebbero anche gli oli del registro inferiore della Cappella del Sacramento in S. Giovanni Evangelista a Brescia, entro una luce fonda lontana da quella lagunare, e un colorismo altrettanto decantato, ricco di echi e assonanze (la Cena della parrocchiale di Montichiari, la Verginedella Stella di Gussago, la Vergine in gloria della parrocchiale di Roncadelle, lo Stendardo di Sant'Apollonia coi patroni in S.Faustino a Brescia, la Vergine della Congrega Apostolica).
Anche le imprese di decorazione profana che conduce negli anni Trenta (nel Castello di Malpaga, con gusto più araldico) e poi già oltre la soglia degli anni Cinquanta, associato a Lattanzio Gambara (nelle mitologie di palazzo Averoldi e palazzo Lechi in Brescia) dimostrano piena consapevolezza di aggiornati racconti di scena, ma sono connotate da impennate di stile bizzarro, da una grande ironia impressionista, da un naturalismo carico di notazioni psicologiche, come se rispondesse con una grossa risata e un'alzata di spalle anche ai pedanti della nuova maniera.
Fin nell'ultima opera nota di Romanino, 1557-58, si conserva questa sua capacità di alternare registri e di far emergere nei momenti di più intensa partecipazione un'efficacia di elementarità stringata, dura e severa: è la Vocazione di S. Pietro di Modena (una chiesa della congregazione benedettina di S. Giustina), di piglio vigoroso e polemico nelle brusche impennate naturalistiche e nel solido impianto del grande albero che corrisponde al radicarsi del Cristo che predica alle turbe sullo sfondo di un lago (il Garda, visto dal golfo di Salò) baluginante e tempestoso. Un'altra opera dello stesso periodo di cui ci è giunta testimonianza nella letteratura, il Martirio di S. Lorenzo per l'altar maggiore della chiesa omonima di Brescia, è andata perduta. Ancora nel 1558-59 Romanino risulta in contatto con la congregazione dei benedettini per affreschi nella biblioteca del monastero di Sant'Eufemia, in collaborazione col Gambara. Nel 1560, la morte.
Fausto Lorenzi
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