Logo La via del Romanino
Devote presentate alla Vargine dai santi Pietro e Paolo. Devote presentate alla Vargine dai santi Pietro e Paolo.
Due particolari della "Madonna col Bambino" a Tavernola: devote presentate alla Vargine dai santi Pietro e Paolo.

Testo

Si comincia con un'erta. La strada che, a Tavernola Bergamasca sale dal lago all'antica Pieve di San Pietro, tra case sempre più rade, è ripida a percorrerla a piedi, ma il tragitto è breve e la vista ricompensa la fatica. Montisola emerge dalle acque con il suo fianco più dolce e dietro, più lontano, è il Guglielmo con la sua gran mole verde, ne si vede da qui la ferita aperta nel fianco del monte poco oltre il paese. Attraverso un cancelletto di ferro e qualche scalino di pietra si raggiunge il prato del sagrato; più sotto è il cimitero silenzioso.
Madonna col Bambino Romanino è venuto quassù, nella piccola chiesa quattrocentesca, per lasciarvi uno dei suoi primi capolavori: l'affresco con la

"Madonna col Bambino in trono,
santi e donatori"
,

sulla parte settentrionale del presbiterio, al quale ha aggiunto l'enigmatico frammento con le "Tre teste" che sta nella controfacciata, sopra la cantoria. Le due opere, attribuite per la prima volta al Romanino dal Nicodemi nel 1925, sono ormai concordemente riconosciute alla sua mano da tutti gli studiosi, che hanno però idee diverse sulla loro datazione e le collocano chi prima, chi immediatamente dopo la pala di Santa Giustina a Padova. E giacchè i Padri Benedettini incaricarono il Romanino di "far la pala dell'altare grande della sua chiesa" nel 1513, egli dovette venire a Tavernola o nel 1511-1512 o, al ritorno dal soggiorno padovano, intorno al 1515. Il problema, del resto, rimane sempre quello della sua formazione, che è ancora avvolta nel mistero: di lui non sappiamo da chi apprendesse il mestiere anche se è possibile, per una serie d'indizi, ipotizzarlo "figlio d'arte", nulla sappiamo della sua collocazione sociale ne delle esperienze attraverso le quali passò, per giungere a portare nell' ambiente pittorico bresciano, agli inizi del Cinquecento, una ventata di rinnovamento che aveva l'impeto di un improvviso temporale.
A voler vedere, ce se ne rende conto anche qui a Tavernola. Basta girar le spalle al dipinto del Romanino per osservare gli ex voto che gli stanno di fronte: una Madonna con il Bambino è datata 1497, una distanza di pochi anni ed un abisso stilistico separano le due pareti. In questo Romanino giovane, anche solo ad un rapido colpo d'occhio, si avverte uno stile che ha masticato e digerito la lezione spaziale del lombardo Bramantino, nell'architettura in cui è collocata la scena, ed ha perfetta cognizione della rivoluzione pittorica dei veneti Giorgione e Tiziano. Senza la conoscenza degli affreschi della Scuola del Santo a Padova, che Tiziano aveva terminato nel 1511, e senza quella "Schiavona" che era in Brescia nella casa dei Martinengo Colleoni, non sarebbero infatti pensabili le donne devote inginocchiate, a Tavernola, ai piedi della Vergine, ne la gioiosa fragranza della gamma cromatica che Romanino adotta in questi anni. C'è inoltre già chiaramente avvertibile nei volti dei santi l'interesse per l'arte tedesca, studiata a Venezia sulla pala del Rosario (1505) di Dürer e sulle stampe nordiche, interesse che emergerà in seguito, in tutta evidenza, negli affreschi del Duomo di Cremona.
Un Romanino aggiornatissimo e, come farà per tutto il seguito della sua carriera, pronto a confrontarsi con il nuovo (magari per arrivare a rifiutarlo, ma sempre con la voglia di rimettere in discussione il suo linguaggio) venne dunque agli inizi del secondo decennio del Cinquecento a Tavernola per soddisfare la volontà di un committente che, se non conosciamo di nome, ci si rivela però nella sua condizione sociale attraverso le intenzioni sottese alla scena.
L'affresco votivo - delle tre teste della controfacciata si dirà più avanti - colloca al centro il trono della Madonna, elevato su quattro alti gradoni, davanti ad una tenda rusticamente appesa con dei lacciuoli ad un filo allentato; dietro si apre un ambiente quadrato, scandito da pilastri marmorei architravati, che dà profondità allo spazio, mentre la luce che entra da sinistra, alla maniera del vecchio Foppa, dona risalto plastico, attraverso le ombre portate, alle figure. Ai lati della Vergine sono due santi che vengono in genere identificati con San Giorgio e San Maurizio, il primo per l'armatura ed il draghetto accovacciato ai suoi piedi ed il secondo per la spada e la palma del martirio, ma si tratta di un'identificazione che in entrambi i casi lascia molti dubbi: il presunto San Giorgio è infatti un vecchio barbuto che poco corrisponde all'immagine usuale del giovane cavaliere difensore delle principesse; quanto a San Maurizio gli attributi che lo caratterizzano sono comuni a troppi altri martiri venerati dalla Chiesa per arrivare ad una certezza. Importa invece che entrambe le figure rimandino ad una devozione "militare", che bene si addice alla committenza aristocratica del grande ex voto. Ai piedi del trono, in questa scena in cui tutti gli elementi sono disposti con attenta simmetria, ci sono due gruppi di devoti inginocchiati, tre per parte, presentati alla Vergine da San Pietro, a sinistra, e da San Paolo, a destra; al centro, alla base del trono, decorata con delfini e figurette grottesche, erano un bambino ed un cane, ma la sciagurata apertura di una porta nella parete ha reso illeggibile questa zona dell'affresco, dove è anche probabile ci fosse uno stemma o una qualche indicazione utile a dare un nome alla famiglia dei donatori.
La volitiva intensità dei profili e il silenzio che avvolge la scena in un sottile intrecciarsi o rifuggire di sguardi sembrano sottacere un dramma appena vissuto e ricollegano l'affresco, senza che nulla venga esplicitamente detto, al clima tragico di quegli anni, tra Agnadello e Marignano, in cui Brescia conobbe, in alterne fortune, il dominio francese, le congiure, il Sacco, gli spagnoli e il ritorno, infine, di San Marco. Tavernola, pur essendo sulla sponda bergamasca del lago, ebbe allora intensi legami con Brescia, che spiegano forse anche la presenza del Romanino; da qui erano venute a Brescia importanti famiglie nobili come i Fenarolo e i Foresti e Tavernola fu luogo di rifugio per molti fuoriusciti bresciani nelle tristi giornate del Sacco del febbraio del 1512. Di ragioni per ringraziare la Madonna, nella chiesetta presso il cimitero, i Fenarolo, ad esempio, ne avrebbero avute tante: Ventura, che aveva aderito alla fallita congiura di Luigi Avogadro per cacciare i Francesi da Brescia nel gennaio del 1512, si era suicidato, mentre lo interrogavano in Castello, aprendosi con le mani le ferite che gli erano state inferte al momento della cattura e questo non aveva impedito che il suo cadavere fosse appeso alla forca nella piazza della Loggia, e suo fratello Galeazzo s'era invece salvato, per miracolo, perchè un male improvviso lo aveva costretto a fermarsi alla Mandolossa e a non entrare in città nella notte in cui la trama venne scoperta.
C'è come un dolore trattenuto, un orgoglio che impedisce di gridare a queste donne opulente, dai petti robusti e dai colli gonfi, che tengono le mani ferme e congiunte nel gesto della preghiera. Ma la vecchia dal volto rincagnato, sulla sinistra, si è messa in testa un velo sottile e invoca il soccorso di Maria con le braccia abbandonate in avanti, mentre l'unico maschio della comitiva rigira nervoso tra le mani il cappello.
La meravigliosa capacità del Romanino di guardare dentro il cuore degli uomini per coglierne la realtà dei sentimenti, l' autenticità di vita, si coglie anche nelle "Tre teste", schizzate con della terra verde sulla parete della controfacciata, sopra la cantoria. Non si sa se i tre volti (un monaco, una donna ed un uomo) siano il frammento di una scena più ampia, come potrebbe far pensare il fatto che tutti guardano verso l'alto, nella stessa direzione, o se siamo di fronte ad un abbozzo, fatto con rapide pennellate su una parete non predisposta per l'affresco, quasi per lasciare l'immagine, colta dal vivo, di qualche curioso venuto ad osservare il Romanino nel suo lavoro. O forse anche si può pensare ad un esperimento, ad una prova d'artista che, con immediatezza di tratto, raggiunge il risalto e l'incisività dei volti dei santi che, negli stessi anni, Romanino dipingeva nei tondi della pala di Santa Giustina a Padova e nel polittico di San Cristo a Brescia.

Francesco De Leonardis

Notizie di Tavernola


  1. Bienno (BS)
  2. Breno (BS)
  3. Pisogne (BS)
  4. Tavernola (BG)
Home Page